Sergio Beltramo: ricordo dell’ingegner Franco Rigola (Uno stanco sorriso)
Se in Italia i dirigenti di enti e strutture pubbliche fossero tutti come l’ingegner Franco Rigola, ebbene, oggi l’Italia sarebbe un altro paese. Questo, meccanicamente, è sempre stato ciò che mi viene in mente quando penso al Preside, all’abnegazione con cui svolgeva il suo compito, all’approccio ottimistico, propositivo, con cui affrontava le trappole della burocrazia, le ventate delle nuove mode didattiche che investivano la scuola con troppa e preoccupante frequenza. Bisognava dare una risposta a tutte queste cose, integrarle nel sistema, magari facendo leva sulle virtù del buon senso e della ragionevolezza (certe sue rare battute in piemontese testimoniavano l’ancoraggio ad una terragna concretezza). Se per farlo servivano quattordici, sedici o ancor di più ore al giorno, beh quelle sarebbero state le ore che lui vi avrebbe dedicato. Quelle che servivano, insomma. Le mitiche luci accese anche a notte fonda dalle finestre della presidenza in Via Rosselli, tanto mitiche poi non erano: erano lavoro, dedizione, spirito di servizio. E naturalmente volontà di essere il migliore, di condurre un istituto che ambisse ad essere il migliore.
Ma l’ingegner Rigola dei miei ricordi è anche l’uomo stanco seduto nel divano di una hall d’albergo un po’ fané di Montecatini. Si era appena terminata una giornata faticosa su un progetto dell’Indire: ispettori e ispettrici ministeriali, lasciandosi trascinare dal genio musicale, si erano accostati al pianista dell’hotel e cantavano languidamente canzoni napoletane. Compostamente seduto sul divano il Preside accennava a un sorriso: il sorriso timido, educato, di chi questi “abbandoni” forse non li capisce, ma è così intelligente e modesto da aprire un credito verso le cose del mondo anche quando non fanno parte del tuo bagaglio esistenziale e culturale. Quel cauto sorriso rivelava che l’Ingegner Rigola aveva capito che il mondo è complessità, che gli uomini hanno mille fatture, che la vita è imprevedibilità pura. L’abnegazione nel proprio lavoro non escludeva un schivo rispettoso stupore di fronte al nodo di bellezza e miseria della vita. Questa era la sua saggezza. Questo era l’uomo.
Sergio Beltramo – 31 ottobre 2020
Renato Iannì ricorda così Franco Rigola
Molti nei piccoli meandri della loro grande invidia sussurravano che Franco Rigola, da tutti chiamato semplicemente il Preside, forse si era arricchito con l’Itis, sicuramente è stato l’Itis ad arricchirsi con lui. L’autorità, che tutti gli hanno sempre riconosciuta, non derivava certo dal suo aspetto: non proprio alto né robusto e neanche minaccioso. Era però temuto e rispettato, per quanto aveva fatto e stava facendo per la sua scuola, che lo accoglieva più che casa sua e che, sicuramente, lo aveva adottato come residente, senza esclusione dei giorni festivi. Indiscusse anche le sue capacità di mediatore e di imprenditore, perché la scuola ha bisogno anche di queste qualità. Non riuscirei a farne un ritratto sottopelle se non citando gli innumerevoli episodi in cui abbiamo condiviso progetti, scherzi e battute, perché sotto la corteccia della quercia c’era uno spirito allegro, disponibile anche alla leggerezza. Ricordo quando in un divertito sfottò mi disse se ero sardo, dato che per la mia statura sembravo un tappo di sughero e io, senza scompormi, gli risposi che ero alto un preside (risultato una risata in due); ricordo quando feci falsificare da un mio allievo la carta intestata dell’Istituto e la sua firma per nominare vicepreside di Mosso una bidella (lui stette al gioco, mentre la poverina cercava disperatamente una scusa per poter dare le dimissioni da quell’incarico improbabile); ricordo quando con lo stesso sistema feci arrivare l’ordine di servizio per acquistare pattine per il pavimento incerato, da dare a tutti gli studenti e da ritirare all’uscita (i bidelli disperati cercarono Rigola al Ministero, dove quel giorno si trovava; lui intuì da dove proveniva lo scherzo e tranquillizzò tutti); ricordo quando lo coinvolsi in una performance alla Fondazione Pistoletto in cui gli studenti facevano dei compagni e degli insegnanti dei gruppi di statue viventi: Rigola in quell’occasione divenne… musicista. Ricordo anche quando, per la prima volta in Italia fece diventare teatro materia di studio e me l’affidò; quando aprì le porte a ragazzi che fuggivano dalla scuola e, insieme ad altri colleghi, riuscimmo a rimotivarli; ricordo la moltiplicazione dei corsi e degli studenti, l’attenzione che metteva in tutto ciò che seguiva, dall’acquisto della carta igienica alla modernizzazione delle aule e dei laboratori. Ricordo e ricordo… che il piccolo grande uomo, con tutti i suoi grandi pregi e i suoi innegabili difetti è sempre stato sulle barricate per superare i limiti e aprirsi alle innovazioni, serio e severo, ma sempre con un sorriso aperto a quella vita che, anche nell’aldilà, gli darà qualche incarico da dirigente. Io lo saluto, come lui vorrebbe, con un ultimo omaggio alla sua voglia di allegria.
Renato Iannì – 30 ottobre 2020