Primo premio internazionale di poesia a Gabriele Zerbola, di V F LSSA
Con il suo componimento giocoso, Goliardici appunti di un pisolino all’ultimo banco, Gabriele Zerbola, studente dell’ultimo anno del Liceo delle Scienze Applicate, ha vinto il VI Concorso internazionale di poesia per studenti di istituti superiori “Poesis – Vietri sul Mare”, sbaragliando gli oltre duecento concorrenti.
Il premio, come recita il bando, si prefigge di rinsaldare il dialogo poetico dei e tra i giovani, perché parlino per loro stessi e per tutti e con una voce che sia libera e rivoluzionaria. È quello che ha fatto Gabriele attraverso la sua poesia, dove passa in rassegna, come scorrendo rapidamente le pagine di un manuale scolastico, i grandi maestri della letteratura medievale e rinascimentale (Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto e Tasso), con l’esplicito intento di scalzarli per un attimo dai loro piedistalli e trasportarli sul banco del vicino. Dalla benevola sfida (“Decisi di sfogar la mia vendetta;/ non a lui sol, ma a chi, seduti al banco,/ costrinse me ei compagni a etterno arranco”), passa ad azzardi di impertinenza (“Tu Dante sparli da sinistra a destra,/ ne abbiam du’ palle, il Paradiso e l’Ade,/ pur’al Laertiade che del mar fa giostra,/ gli cascan come lo tuo corpo cade”) per fornire, infine, la chiave interpretativa del componimento: “Fra tutta ‘sta gentaglia, anche i bidelli,/ rifuggon l’insegnante d’italiano;/ se i libri non li pigli pe’i fondelli,/ stai certo non arriverai lontano”.
“È una poesia nata per caso”, spiega l’autore, “ormai quasi un anno fa, perché quando studio mi piace entrare nelle vite dei poeti e provare a comprenderne l’animo: a volte si crea con loro un rapporto confidenziale.” Gabriele ha dato sfogo alla sua creatività ben prima di sapere del concorso; poi, venuto a conoscenza del concorso, ha inviato le sue rime, che gli frutteranno una corona d’alloro, come si conviene ai “poeti laureati”, una cetra in ceramica e anche un po’ di vil denaro…
La tradizionale premiazione a Vietri sul Mare è stata ovviamente annullata per cause di forza maggiore, ma si è optato per una diretta Facebook andata in onda domenica 13 dicembre, durante la quale è stata annunciata la classifica che ha sancito la vittoria di Gabriele sugli altri sette finalisti.
La Presidentessa della giuria, professoressa Rosa Nicolò, dopo essersi congratulata con lo studente biellese, ha letto le motivazioni del premio assegnato all’opera per il suo “carattere ironico-satirico, la briosa vivacità, la sapiente mescolanza di forza, morbidezza e arguzia”, per “la capacità di trasformare richiami letterari in elementi originali e dissacratori” il cui “ messaggio – se i libri non li pigli pe’i fondelli,/ stai certo non arriverai lontano– è affidato a forme metriche (endecasillabi modulati con sicurezza e incasellati in ottave, terzine e sonetto, arricchiti da anastrofi, allitterazioni, metafore e arcaismi) padroneggiate con sicurezza, ben intonate, insaporite da una gustosa parodia dotata di lucidità, spregiudicatezza realistica e deformazione satirica”.
“La giuria ha apprezzato la giocosità, il bilanciamento dei versi la dimensione provocatoria per cui
Ariosto ha sprecato due vite per scrivere di un morto, Dante è un ciarliero criticone, Tasso un disturbato un po’ paranoide”, ha proseguito la professoressa. “L’invettiva canzonatoria non risparmia nessuno, neanche l’insegnante di italiano da cui persino i bidelli rifuggirebbero.”
Ma i giurati hanno smascherato l’autore che, come nella miglior tradizione della nostra poesia comico-parodica, si nasconde (in questo caso) dietro la tipizzazione dello studente svogliato dell’ultimo banco. “Gabriele è uno studente che coglie ogni stimolo e lo trasforma in personale e creativa espressione”, afferma la sua insegnante di italiano, Monica Aguggia, a cui Gabriele, oltre alle rime irriverenti, ha dedicato anche il premio.
GOLIARDICI APPUNTI DI UN PISOLINO
ALL’ULTIMO BANCO
(ARIOSTO, OTTAVA)
Andavo verso casa nel meriggio,
pensando a quanto studio avevo in vetta,
immaginavo un lusinghiero omaggio,
poiché il buon Ludo Ariosto ci diletta.
Poscia ch’anco d’Orlando venni mogio,
decisi di sfogar la mia vendetta;
non a lui sol, ma a chi, seduti al banco,
costrinse me ei compagni a etterno arranco.
Tu narrasti d’Angelica il fuggire,
so che benignamente e col sorriso,
accogli e poi perdoni lo mio ardire,
qual si presta a buon gioco e a bieco viso.
Adesso ascolta quel che i’voglio dire:
il tuo poetare par troppo diviso,
al che saria pensier non troppo accorto,
perder due vite su follie d’un morto.
(DANTE, TERZINE)
Mi sono appassionato e vado oltre,
come l’Ulisse viola il “non plus ultra”,
e dell’oceano incontra il bassoventre.
Tu Dante sparli da sinistra a destra,
ne abbiam du palle, il Paradiso e l’Ade,
pure al Laertiade che del mar fa giostra,
gli cascan come lo tuo corpo cade.
E del Virgilio scorgo un’ombra rossa,
distrarsi fra bucoliche contrade,
la pelle scotta e ad ogni breve mossa,
dietro a sé lascia del calor l’alone,
non per l’onor né per virtù riscossa,
ma perché il giorno degno del Marone,
non fece in tempo ad esclamare “Oh Troia!”:
si risvegliò morto d’insolazione.
(PETRARCA, SONETTO)
Cala la sera, quiete imbarazzante
che impallidir fa il Sole, ma sorride.
Sarà il solletico, dall’arco di Artemìde,
bisbiglia un dardo nel vento danzante:
Oh Fra Petrarca, col tuo Vulgarium Rerum,
“d’allor l’aureola a l’aura d’or l’aurora”,
capisci perché noi la prof. s’implora?
La Verità ha svelatomi un Secretum:
ma invece di ‘ste contorsion mentali,
tra pace e guerra, oh anima dannata,
tu pensi troppo e perdi e’cose belle,
guarda al Boccaccio e alle vite normali.
E poichè Laura mai te l’avrà data,
ti sognerai le sue miglior novelle.
(TASSO, OTTAVA)
Al mito dei romantici or mi volgo,
che visse per tre volte in paranoia,
ma noia solo nei suoi versi colgo,
per questo lo sciroppo anch’io m’ingoia.
Fra tutta ‘sta gentaglia, anche i bidelli,
rifuggon l’insegnante d’italiano;
se i libri non li pigli pe’i fondelli,
stai certo non arriverai lontano.
(RIEPILOGO, OTTAVA)
La Divina che invita alla bestemmia,
cantai d’Ariosto la trama burlona,
e di Petrarca il viver come mummia,
la distrazion che col Virgilio stona,
la prosa di Boccaccio, poi accademia,
un passo e giungo a Tasso, e tu perdona
s’intesso fregi al ver, s’adorno in parte,
d’altri diletti, che dei tuoi, le carte.