Le riflessioni di Francesca Giardini, insegnante di sostegno
Venerdì 21 febbraio 2020 attendevamo trepidanti i tre giorni di vacanza per la festività del Carnevale e dell’inizio della Quaresima con il mercoledì de Le Ceneri; a scuola tutti, ragazzi, allievi e personale ATA eravamo allettati da questa pausa che ci avrebbe poi dato la tranquillità per affrontare la successiva tranche di lezioni fino alle vacanze pasquali. Il tempo della vita scolastica, ma non solo, era fino a quel giorno, scandito in modo chiaro e i passaggi da attività a pausa ben organizzati dal calendario scolastico. La domenica successiva questa organizzazione è stata consegnata ad un tempo “sospeso” perché se dapprima un piccolo prolungamento delle vacanze di carnevale poteva essere accompagnato da una malcelata euforia non avremmo però immaginato che successivamente la sospensione ci avrebbe accompagnato con tale incertezza e senso di mancanza di “fine pena”.
Ciò che a mio avviso ha caratterizzato maggiormente l’emergenza è stata l’incertezza: la comunicazione delle decisioni governative e le loro declinazioni a livello territoriale e regionale purtroppo hanno assunto le caratteristiche di uno “scoop giornalistico” più che l’applicazione di normative dettate da conoscenze scientifiche; forse perché quando pensiamo alla biologia e alla medicina ci illudiamo che siano scienze esatte e che abbiano raggiunto livelli tali da conoscere, affrontare, curare tutti i mali che ci affliggono. Siamo rimasti spiazzati invece di fronte ad un sistema che ha saputo applicare norme preventive non lontane da quelle applicate nel periodo delle grandi epidemie che hanno colpito il nostro Paese nel passato, quando le scienze afferenti alla medicina non avevano ancora raggiunto i livelli attuali di conoscenza. Ci si aspettava inoltre una risposta efficace, puntuale e precisa dal nostro sistema sanitario e dalle democrazie occidentali, tanta propaganda giornalistica aveva fatto credere che la diffusione del virus in Cina fosse dovuta ad un governo di categoria inferiore mentre “noi” ci sentivamo immuni dalla possibilità di dover soccombere di fronte ad un’epidemia. Personalmente ho cercato di relativizzare anche io quanto stava succedendo perché l’idea della perdita della libertà di spostamento e del poter realizzare tutto quanto pianificato fino ad allora non era per me accettabile; il primo pensiero è andato ai ragazzi speciali che seguo come insegnante di sostegno, alla loro quotidianità fatta di fugaci ma costanti connessioni con i compagni di classe, con gli insegnanti di classe con i quali si instaurano rapporti di fiducia reciproca.
Le limitazioni agli spostamenti e le annesse possibili sanzioni legate all’eventuale violazione delle norme mi hanno da subito fatto provare frustrazione e rabbia tanto che non nego di aver pensato di essere più vicina al pensiero dei Paesi anglosassoni che inizialmente non avevano limitato i cittadini nelle loro attività. Il confronto sulle decisioni prese a livelli nazionali diversi mi ha permesso di osservare come le conoscenze scientifiche sulla diffusione di un’epidemia virale, che sono potenzialmente uguali in tutto il mondo, sia stata declinata dai governi e dall’opinione pubblica sulla base del background sociale e culturale e come un po’ per volta le diverse mentalità si siano dovute allineare in misure di contenimento simili superando le idee di partenza. Ho provato nostalgia per l’amata quotidianità perduta.
La didattica a distanza è stata attivata dall’istituto di istruzione secondaria in tempi brevi e anche io ho adattato gli spazi casalinghi a questa nuova modalità: ho reso un angolo della casa adatto al lavoro al computer e soprattutto che potesse essere piacevole per chi dall’altra parte della telecamera dovesse osservarlo.
L’emergenza del coronavirus ha modificato notevolmente quelle che sono le spazialità e la territorialità di ognuno di noi anche nell’aspetto scolastico; per quanto mi riguarda ho potuto vivere questo cambiamento sia come studente universitario che come insegnante di sostegno. Per quanto riguarda il mio lavoro devo fare una distinzione: sono a me affidati infatti due ragazzi inseriti in due classi diverse; con entrambi ho instaurato una buona relazione già negli anni precedenti. La didattica a distanza ha però modificato la frequenza e l’immediatezza delle interazioni cui eravamo soliti, in particolare con uno dei due il quale si può avvalere meno delle opportunità della rete e preferiva di gran lunga la presenza fisica ed emotiva. La relazione pedagogica con la classe si è modificata: i riscontri personali e le dinamiche di mantenimento della relazione educativa sono decisamente più carenti. Si sono create difficoltà maggiori nell’avere un feedback costante da loro sui contenuti proposti e sul reale impegno profuso. Ho dovuto trovare nuove strategie di empatizzazione osservando dalla loro partecipazione e dalle risposte scritte il loro grado di coinvolgimento. L’altro ragazzo da me seguito ha invece potuto esprimere la passione per le tecnologie informatiche e l’assenza della relazione con i pari gli ha permesso di essere più tranquillo nell’affrontare gli impegni scolatici; l’esperienza diretta con i pari per lui è fonte di grande insicurezza e attualmente, dopo il rientro del 50% dei compagni è fonte di nuova necessità di adattamento.
Sicuramente questa riduzione e modifica di spazialità ha contribuito alla formazione di nuove modalità di interazione durante le lezioni on line dell’intera classe. Al tempo stesso ho potuto notare una maggior responsabilizzazione di alcuni allievi che hanno vicariato alla minor presenza di persona con un maggior coinvolgimento e impegno nelle materie.
Come studente invece la modifica dei confini intorno a me ha trovato da questa limitazione di mobilità un notevole vantaggio: la possibilità di poter usufruire di tutte le lezioni online potendo interagire con i docenti nelle modalità video. Grazie a questo contatto virtuale mi sono potuta addentrare nei corsi trovando da parte dei docenti disponibilità ed empatia a voler affrontare insieme questa nuova modalità di insegnamento. Tramite i mezzi offerti dalle modalità online ho potuto mettermi in contatto con i docenti e con i colleghi di corso trovando risposte ai miei dubbi e feedback utili per la prosecuzione del lavoro. La tecnologia ha permesso di ricreare in ambiente domestico uno spazio-aula, virtualmente cosmopolita.
L’essere stati costretti a vivere in uno spazio ristretto per un tempo più lungo del solito e in modo più intenso spero abbia permesso di apprezzarne maggiormente le caratteristiche e osservare la naturale interdipendenza esistente tra quella che consideriamo la “nostra” vita e l’ambiente in cui essa si svolge. Il senso di appartenenza al luogo di vita è complesso e non passa solo attraverso l’abitare, intervengono emozioni, relazioni, desideri e speranze per il futuro. L’ambiente di vita che influisce su di noi e verso il quale noi possiamo avere un impatto non è solo quello nel quale ci muoviamo ma ogni sfera è interconnessa in una rete in cui ogni persona, ogni ambiente, costituisce un nodo come ben esplicitato dal pensiero di Edgar Morin. Francesca Giardini, insegnante di sostegno