Quando una canna può salvare il pianeta

L’umanità si sta avviando sempre più velocemente verso la sua fine per i molteplici abusi contro il suo pianeta, come la produzione e l’uso sconsiderato delle plastiche che stanno lentamente soffocando il nostro mondo e i suoi abitanti. 

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Sembra davvero impensabile rinunciare alla plastica, essenziale e comodissimo materiale che ci accompagna quasi da un secolo e che ha migliorato le nostre vite radicalmente, in quanto leggero, resistente ai prodotti termoplastici (acidi) e termoindurenti (solventi) ed eccellente isolante termico, acustico ed elettrico o più semplicemente fondamentale nel trasporto di liquidi e gas e ogni prodotto d’uso comune, in quanto duttile ed economico. 

Eppure, per ovviare al problema e per ridurre, quindi, l’uso di plastiche e la loro dispersione nell’ambiente si sono trovate varie alternative ai polimeri di origine fossile, ovvero polimeri organici che, nel loro processo di produzione, immettono meno CO2 nell’atmosfera e possono essere compostati in quanto biodegradabili. 

Ma oggi ci concentreremo su un nuovo e innovativo polimero: l’organic-HDPE ottenuto dalla lavorazione degli scarti industriali di canna da zucchero (Saccharum officinarum), materiale presente in abbondanza e a basso prezzo in quanto altrimenti inutilizzato. 

Questa bio-plastica mantiene tutte le caratteristiche e i vantaggi di quella tradizionale, ma nella sua produzione non viene emessa CO2, anzi durante il processo viene sottratto dall’atmosfera circa 1,25Kg di CO2 per 1Kg di materiale HDPE, per cui la sua lavorazione è al 100% CO2-free; inoltre bisogna considerare l’ulteriore CO2 sottratta durante la naturale crescita della pianta, la quale non necessita di particolari cure, se non di un clima caldo. Si darebbe oltretutto l’opportunità a molti paesi in via di sviluppo, come Africa e Sud America, avvantaggiati dalla presenza di piantagioni di canna da zucchero molto floride, di sfruttare questa soluzione green. 

 Il HDPE non è compostabile, ma totalmente riciclabile assieme al comune PE (plastica derivata dal petrolio) e pemetterebbe di dare il via a realtà di “industria circolare” nelle aziende che sceglieranno di utilizzare questo materiale, che non differisce nella sua funzionalità dalle plastiche canoniche. Finora questo materiale viene prodotto da poche aziende, come “Rose Plastic”, per la realizzazione di smart-packaging ad uso industriale, ma è auspicabile che venga maggiormente diffuso nonostante sia malvisto dai grandi magnati del petrolio.  

Tuttavia, bisogna ricordare che l’HDPE non si deve assolutamente disperdere in ambiente, ma deve essere raccolto per poterlo poi riciclare, come anche l’PLLA un’altra eco-plastica ottenuta dal mais che vanta proprietà di biodegradazione, la quale però comporta una più rapida dispersione di micro-plastiche nell’ambiente e un incremento della deforestazione per la realizzazione di coltivazioni di granoturco, pianta più delicata e dalla crescita più lenta rispetto all’infestante canna da zucchero; il mais è, tra l’altro, alla base della dieta di molte popolazioni sudamericane, quindi utilizzarlo nella realizzazione di bio-plastiche e bio-carburanti può determinare una sua carenza in nell’uso alimentare e un sovrapprezzo della preziosa farina gialla con la conseguenza di disagi sociali. 

L’importante è ridurre, comunque, il più possibile le emissioni di CO2 e la realizzazione di polimeri di origine fossile attraverso mezzi e strumenti diversificati deve essere possibilmente utile sia al pianeta sia a noi, suoi umili abitanti. 

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Luca Calzati
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