Fenomeni virali come lo “shish” dell’ex premier Matteo Renzi ci hanno aperto gli occhi su come gli adulti italiani, in media, abbiamo competenze a dir poco raccapriccianti nella lingua l’inglese. Se gli adulti italiani hanno un livello così basso nella lingua, cosa dobbiamo pensare del livello dei figli?
Secondo i dati dell’EF EPI solo il 30% degli studenti degli istituti secondari pubblici, medie e licei, raggiunge il livello B2, ovvero il livello di apprendimento minimo richiesto dal mercato del lavoro e iniziale requisito d’accesso per molte università straniere, che di solito, nel corso del primo anno, una volta ammessi richiedono agli studenti di raggiungere il C1.La situazione è diversa per il resto dell’Europa: più del 60% degli studenti raggiunge il B1, il 50% arriva al B2 e il 20% dei liceali si attesta al C1.
Perché, dunque, le percentuali sono così basse?
La colpa non è dei professori, ma del sistema scolastico italiano, il quale tratta l’inglese come una materia secondaria.
La prova fondamentale è che la scuola offre solo corsi per certificazioni fino al FIRST, certificazione che non presenta un livello B2, bensì B1.
Si aggiunga poi che le ore riservate all’inglese ogni settimana sono, molto spesso, minori della metà di quelle destinate allo lo studio dell’italiano (lingua che tecnicamente gli studenti italiani dovrebbero già sapere) ciò che rende rari i momenti di conversazione tra gli alunni e le esercitazioni più concrete e quindi più utili.
Anche i manuali dovrebbero aggiornarsi: un libro di inglese presenta, infatti, abbondanti sezioni con glossari e vocabolari, centinaia di esercizi che richiedono, di inserire la parola giusta e centinaia di modi per dire la stessa frase. Pochi libri, tuttavia, presentano listenings per migliorare il livello degli italiani nell’ascolto o lavori di writing per insegnare come scrivere articoli e incoraggiare il pensiero critico anche in inglese.
Dopo riflessioni del genere, bisogna chiedersi: gli studenti italiani sono allora veramente solo vittime di una didattica che non funziona oppure dovrebbero assumersi anche loro parte della responsabilità?
C’è da dire, in primo luogo, che non si diventa bravi in qualcosa dalla mattina alla sera, soprattutto senza impegno. Per essere veramente efficaci in inglese bisogna avere un mix di abilità, in parte magari innate, ma in parte coltivabili con dedizione. Non possiamo certamente paragonare il livello di inglese di un ragazzo, i cui genitori sono poliglotti e incoraggiano il figlio a intraprendere viaggi di studio e a essere curioso nei confronti delle lingue, a quello di un giovane i cui genitori parlano solo una lingua e non hanno l’interesse o la possibilità di migliorarsi.
Ovviamente, uno dei modi più funzionali a potenziare il proprio livello d’inglese è viaggiare; purtroppo, i viaggi di studio offerti dalla scuola sono piuttosto costosi e, in molti casi poco educativi, perché gli studenti italiani passano la maggior parte del tempo in compagnia dei proprio amici…. italiani, senza esercitare, quindi, la lingua che dovrebbero imparare.
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Per capire quali sono le criticità nell’apprendimento dell’inglese e provare a suggerire qualche rimedio sono stati intervistati quattro alunni del Liceo scientifico indirizzo Scienze applicate: due “bravi” nella seconda lingua e due che se la cavano di meno; a tutti e quattro sono state poste le stesse domande:
-Ti è sempre risultato difficile imparare l’inglese?
-Che rapporto hai con la materia?
-Quali pensi siano i principali problemi del sistema scolastico italiano relativamente alla lingua inglese?
-Se ti trovassi all’estero, saresti capace di comunicare in inglese per ottenere indicazioni?
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Vediamo cosa hanno risposto i nostri compagni.
Per questioni di privacy non riveliamo i nomi dei ragazzi per cui ne useremo di inventati. I due ragazzi che ottengono buoni risultati in inglese saranno Federico e Marta, mentre i due che fanno fatica saranno Marco e Filippo.
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Federico non ha mai incontrato difficoltà con la lingua e per questo l’inglese è la sua materia preferita; non ha mai avuto bisogno di studiarla eccessivamente, ma ha sempre ottenuto risultati impeccabili nelle verifiche. Secondo lui, i problemi principali nell’insegnamento dell’inglese sono i seguenti: nelle scuole non ci sono insegnanti madre lingua; i docenti spesso insegnano un inglese datato, poco funzionale e ignorano i termini che non provengono dall’inglese britannico, penalizzando gli studenti che hanno più confidenza con l’inglese-americano. Federico ha familiarità con i paesi stranieri e gli è già capitato molte volte di comunicare con successo in un’altra lingua per avere informazioni, dalla Spagna all’Austria fino all’Inghilterra.
Marta, come Federico, ha sempre trovato la lingua semplice da apprendere, intuitiva e per questo è tra le sue materie preferite. Secondo Marta i problemi principali riscontrati nel sistema scolastico italiano sono imputabili agli studenti, che talvolta sottovalutano la materia e la trattano come disciplina scolastica di serie B. Anche se la maggior parte della responsabilità viene attribuita agli studenti, Marta pensa che anche i metodi di alcuni professori siano superati e rendano l’inglese noioso e monotono. Marta sarebbe più che capace di comunicare con i “locals” di un paese straniero dato che ha già vissuto un’esperienze a New York, in un viaggio di famiglia durante il quale lei era l’unica a parlare inglese, per cui ha dovuto gestire la comunicazione per tutte e tre le settimane!
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Gli studenti che si trovano più in difficoltà con la lingua, Marco e Filippo, hanno opinioni contrastanti.
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Filippo ha sempre trovato difficile studiare l’inglese a scuola, infatti afferma che si “tira dietro” il 5 in pagella dalle medie. A Filippo non è mai piaciuta la materia e tuttora ha difficoltà nel suo studio. Secondo lui, il problema di tanti studenti italiani, lui compreso, sono le regole grammaticali: possono essere comprese facilmente ma il problema nasce quando devono essere applicate nella conversazione o nella scrittura. A parere di Filippo, si rilevano, pertanto, due problemi principali nell’insegnamento della lingua inglese: il primo è che viene dato troppo peso alla spiegazione della teoria rispetto ai momenti di conversazione con un insegnante madrelingua o tra gli studenti stessi. Inoltre, Filippo ritiene che gli studenti che ottengono buoni risultati abbiano migliorato le loro competenze in particolare attraverso la visione di film o serie tv in inglese, la lettura di libri in lingua e soprattutto con viaggi di studio. Filippo ha esperienza di viaggi all’estero, ma per sua fortuna – o sfortuna- è sempre stato accompagnato da persone dotate di un fluente inglese.
Marco ha sempre avuto problemi con l’inglese, ha sempre capito poco a lezione e non ha mai ottenuto risultati soddisfacenti nelle verifiche. Tuttavia, ha provato a migliorare il proprio livello attraverso scuole specializzate nell’insegnamento dell’inglese, anche se purtroppo ha conseguito risultati deludenti. Per fortuna, ha incontrato un’insegnante madrelingua che ha potuto dargli le attenzioni necessarie e lo ha aiutato molto a trovare strumenti interessanti per imparare la lingua. Diversamente da Filippo, a Marco piace studiare l’inglese, nonostante i risultati deludenti… La criticità più evidente riguarda la scarsità di ore riservate all’inglese e il loro utilizzo: i professori spesso non hanno il tempo necessario per “allenare” gli studenti per le verifiche di grammatica o letteratura, né quello per incentivare i ragazzi a fare conversazione tra di loro. Tutto ciò provoca ansia agli studenti ma anche ai docenti che si sentono in ritardo con le scadenze imposte dalla didattica e per questo, in certi casi, penalizzano i momenti di scambio tra i ragazzi e le listenings.
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Per trarre qualche conclusione, possiamo affermare che, gli studenti “bravi” hanno probabilmente delle competenze innate che però hanno coltivato con impegno e dedizione, attraverso lo studio, la visione o lettura di materiale in lingua e, i più fortunati, anche i viaggi all’estero. Diversamente da quello che si potrebbe pensare, gli studenti che presentano difficoltà nella materia spesso non sono svogliati o poco interessati alla disciplina, ma risentono dei problemi sopracitati e talvolta sono costretti a ricorrere ad aiuti extrascolastici da parte di professionisti della lingua.
In conclusione, forse non dobbiamo allarmarci troppo: ci sono tanti giovani intelligenti e curiosi che magari rivoluzioneranno la didattica con idee fresche e innovative.
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Eleonora Givone, 4°F LSSAM