Probabilmente, a molti di voi, questo nome ricorderà qualcosa: sto infatti parlando della figlia del nostro storico professore di fisica, Andrea Rondi. Perciò eccomi qui, a proporvi un nuovo articolo della rubrica Personal-ITIS per parlare di una ex studentessa del nostro liceo che ha fatto una scelta di vita davvero singolare.
Nell’ottobre 2019, l’allora ventisettenne Agnese Rondi è entrata, infatti, a far parte della Congregazione delle suore del Cottolengo. In tutto, però, sono passati cinque anni da quando ha iniziato a dedicarsi a questa “carriera”. Il suo, come quello di qualunque altra suora, è stato un processo di graduale avvicinamento alla tappa conclusiva – si fa per dire -, quella di prendere i voti. Nel corso di questo periodo si è spostata spesso tra le varie sedi della Piccola Casa della Divina Provvidenza, ricoprendo le più varie mansioni (dall’occuparsi di bambini in età scolare, ad anziani in degenza nelle case di riposo). Dopo queste esperienze, si è stabilita a Torino e si dice contenta e soddisfatta della sua scelta.
Mi ha anche raccontato un po’ di cose a proposito dei suoi giorni al liceo, dichiarando di essere sempre stata un’allieva modello, cosa che – lo ammetto – non ho verificato, ma sembrava sincera! Dice che le è sempre piaciuto lo spirito della nostra scuola, il fatto che si tratti di uno spazio di condivisione e non di asettico studio di nozioni. Ha affermato che, nel nostro istituto si è sempre sentita a casa. (Un bell’elogio alla nostra scuola, no?)
In qualche modo, però, bisogna tornare all’argomento principale, e questo ci conduce alla fatidica domanda: perché una ragazza che ha appena conseguito una laurea in Ingegneria Informatica, durante il corso del primo anno di magistrale decide di avvicinarsi alla professione di suora?
Probabilmente qui ho commesso il primo errore, (forse non il primo, magari, senza rendermene conto, ne ho già fatti altri: non mi stupirei) perché qualcosa nella mia testa dovrebbe suggerirmi che essere una suora non è un mestiere, ma una scelta di vita, una vocazione. Boh, magari è anche una professione. (D’accordo, d’ora in poi cercherò di risparmiarmi dubbi e commenti insulsi, ma, sia chiaro, non prometto niente.)
Dunque, Suor Agnese, in risposta a tale domanda, incolpa – in modo scherzoso – un sacerdote biellese, Gabriele Leone, che allora era responsabile della Pastorale giovanile. Lei lo ritiene anche responsabile della sua scelta. In sostanza, Don Gabriele, durante appunto il primo anno di magistrale di Suor Agnese, le ha chiesto di far l’animatrice nel corso di una settimana comunitaria (una settimana che le studentesse delle superiori hanno la possibilità di trascorrere al Cottolengo di Biella, vivendo in comunità).
Durante l’intervista, ha affermato che quella settimana l’ha scioccata e colpita, ed è probabilmente stata cruciale per la sua decisione. Infatti, prima di allora, sebbene la fede fosse sempre stata una forte presenza all’interno della sua vita, non aveva mai pensato a quest’opzione, anzi, uno dei suoi sogni sarebbe stato quello di fare l’insegnante. Ma a colpirla e ad avvicinarla a quel mondo era stato, forse più di altro, vedere la felicità di una suora molto giovane.
La necessità di una scelta le si è presentata sotto forma di una domanda, una di quelle che ti distruggono al solo pensiero di non riuscire a trovare una risposta… Ma Suor Agnese, una risposta l’ha trovata, anche se a tempo debito.
Nel frattempo, infatti, aveva ottenuto una borsa di studio Erasmus, grazie a cui ha studiato in Francia per un anno e mezzo. Sostiene che questo periodo sia stato caratterizzato da quello che ha definito un “pasticcio mentale”, soprattutto perché, durante questo periodo di transizione – se così possiamo chiamarlo – ha compiuto degli atti molto impulsivi per la sua personalità, anche a scapito della rigorosa dedizione che ha sempre riservato agli studi.
Alla fine dell’intervista, Suor Agnese mi ha detto di essere molto felice sia della scelta di laurearsi in Ingegneria informatica sia di quella successiva di prendere i voti. Quella che mi ha stupita, però, è stata una frase che ha pronunciato verso la fine del nostro incontro, ovvero che la cosa migliore della strada che ha intrapreso è la possibilità, anche a fronte delle emozioni e delle difficoltà del momento, di potersi coricare nel letto la sera e dirsi: “Ho vissuto davvero.”
In fondo, non è quello che desideriamo tutti sentire di non aver sprecato il nostro tempo, di aver sfruttato la vita al massimo?
Mila Biasetti, III F LSSAM