![](https://notizie.itis.biella.it/wp-content/uploads/2025/02/m.jpg)
Il 27 novembre scorso, il teatro Odeon di Biella ha ospitato Pietro Morello, un giovane torinese che ha dedicato la sua vita alla musica e ai bambini.
Lo spettacolo è iniziato al buio, mentre nell’aria si diffondeva la prima nota solitaria dell’intro di una delle colonne sonore più famose della storia del cinema: “Interstellar”; man mano che la melodia si intensificava, una luce blu ha illuminato prima l’inconfondibile ciuffo di capelli bianchi e poi le mani che volavano sui tasti del pianoforte del venticinquenne.
È partito tutto da quella nota introduttiva che ha dato vita allo spettacolo. Il significato è semplice e profondo: quel mi, appena percepito e solitario, rappresenta ognuno di noi, perché tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti soli. Ma, fortunatamente più di una volta nella vita, siamo stati anche felici. Non a caso, infatti, protagonista della serata è stata proprio la Felicità, che, secondo Pietro, non è altro che una scelta.
Questa sensazione è una realtà che può esistere veramente solo se la si condivide, perché si può scoprire solamente nel sorriso dell’altro. Per tale ragione è necessario essere egoisti o meglio – come dice Pietro – egoisti positivi, cioè, per vivere meglio noi, dobbiamo pensare prima agli altri. A prima vista parrebbe un controsenso, invece è la pura realtà dei fatti: quando capiremo che il tempo che noi dedichiamo agli altri è un investimento che arricchisce prima di tutto noi stessi, potremo essere veramente felici.
Pietro Morello ha, così, invitato tutto il pubblico seduto in quella sala a non togliere tempo a se stessi per dedicarlo ad altri, ma a investire il proprio tempo negli altri. Sembra che sia cambiato solo un verbo, invece è mutato l’intero concetto della beneficenza. Non aiuto gli altri ma sto aiutando prima di tutto me stesso. Così il suo “Non Concerto”, come lui stesso l’ha definito, è continuato con il raccontato delle sue esperienze di vita: la prima missione umanitaria appena maggiorenne, al confine tra Romania e Ucraina; i viaggi in Africa per costruire scuole e ospedali al fine di contrastare la scia di morte che la guerra lascia dietro di sé; l’impegno costante insieme a varie associazioni umanitarie per togliere i bambini dalla strada e restituire loro il diritto all’infanzia; le sedute di musicoterapia nei reparti oncologici degli ospedali pediatrici.
Insomma, con una semplicità disarmante, Pietro ci ha trasportato in realtà che troppo spesso abbiamo osservato, ma che non abbiamo mai visto veramente; realtà che ci sembrano così lontane eppure colpiscono persone che potrebbero essere la nostra famiglia. Ci ha messo davanti a situazioni di cui non vorremo mai far esperienza, ma con cui, invece, troppe persone, troppi bambini, convivono quotidianamente.
Infine, ci ha parlato di Beatrice, di soli nove anni, malata di leucemia, che gli ha cambiato la vita con il suo modo di vedere le cose, perché, seppur malata, riusciva a vedere il bello in ogni situazione. Lei voleva correre e non le importava della sua malattia, lei sapeva che sarebbe tornata a correre e che sarebbe guarita; il male per Bea e per i bimbi è sempre passeggero. Così, andando in ospedale per fare del bene a lei, Pietro si è reso conto di aver aperto i suoi occhi, tanto da consigliarci di fare lo stesso: tutti noi dobbiamo guardare il mondo con lo sguardo dei bambini, con lo sguardo della piccola Bea.
Quella sera, Pietro ha urlato contro il nostro mondo indifferente e materialista, invitando ognuno di noi a combattere contro quella parte disinteressata e apatica che risiede dentro ciascuno. Perché non possiamo cambiare la vita di nessuno, ma, se riusciremo a regalare anche un singolo momento di Felicità, avremo vinto le nostre battaglie.