Mercoledì mattina lo scalone della sede centrale dell’ITI risuonava delle note emesse dalla chitarra acustica di Alex Gariazzo: per due ore (a cui hanno fatto seguito altre due ore a Città Studi) il musicista biellese ha intrattenuto gli studenti delle quinte con una “lezione” dal titolo “Dal blues all’hip hop: un secolo di canzoni, implicazioni sociali e fenomeni rock pop”.
Durante l’incontro, che è stato organizzato dal professor Fabrizio Lovati con la collaborazione del prof. Marco Zerbola, Gariazzo ha proposto un viaggio nella musica del ‘900, alternando alle parole e alle immagini delle slides le interpretazioni dei pezzi che hanno segnato e influenzato generazioni di giovani del secolo breve.
Il blues ha rappresentato la prima tappa del percorso. I canti degli afroamericani, che garantivano, almeno originariamente, una comunicazione incomprensibile ai bianchi, hanno costituito la genesi di tutta la musica successiva: Alex Gariazzo ne ha fornito un esempio attraverso il ritmo martellante di Take this hammer.
“Se è vero che il blues parlava di povertà, emarginazione, razzismo, è altrettanto vero che nel corso di pochi decenni anche quel genere di musica diventerà una forma e una possibilità di divertimento, alla quale la radio darà una diffusione fino ad allora inimmaginabile”, afferma Gariazzo e propone Johnny B. Good, di Chuck Berry, il cantante che costituisce lo spartiacque tra un prima e un dopo musicale, inventando praticamente il rock and roll.
Tuttavia sarà Elvis Presley a dimostrare come la cultura pop possa trasformarsi in tendenza, talvolta marginalizzando la musica a scapito del personaggio, mentre i Beatles estenderanno il fenomeno della “beatlemania” addirittura a livello planetario. Gariazzo sceglie di interpretare una emozionante I saw her standing here, il brano di apertura del loro primo disco con il quale si determina il definitivo passaggio dal rock al pop.
Parallelamente, la canzone d’autore trova grandi interpreti e il country folk si riappropria della vocazione originaria del blues: la protesta e la richiesta di giustizia e libertà. Nell’aula magna le note di We shall overcome di Pete Seeger, di The times they are a changin’ e di Like a rolling stone di Bob Dylan si intrecciano con le parole di Kerouac, da On the road, lette dal prof. Zerbola.
“E’ la guerra del Vietnam ad alimentare ulteriormente la contestazione e l’inno americano di Hendrix martoriato dalle bombe diventa il simbolo dell’opposizione al conflitto”, spiega Gariazzo agli studenti, prima di continuare con le esecuzioni di brani emblematici dei decenni successivi: da Superstition di Stevie Wonder che consacra la diffusione e il successo della musica soul, a Pinball wizard tratto da Tommy, il primo immaginifico concept album degli Who, a Take a walk on the wild side, dell’irriverente genio musicale che fu Lou Reed, fino a Personal Jesus, espressione del blues rock elettronico dei Depeche Mode, per concludere con You’re the one that I want trasformata dall’arrangiamento del chitarrista biellese.
Il tempo a disposizione non ha permesso purtroppo di addentrarsi nell’analisi di altri importanti fenomeni musicali che, al pari dei precedenti, hanno preso vita dal contesto sociale e politico in cui gli autori si collocavano: le due ore dell’incontro sono state, comunque, esemplificative di una didattica un po’ fuori dagli schemi ma ricca di appeal, come testimoniato dai movimenti ritmati del capo anche dei più compassati tra i docenti.
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