Martedì 24 febbraio noi, classe 3° C del Liceo scientifico scienze applicate, invece di svolgere le quotidiane lezioni scolastiche ci siamo recati al “Cottolengo” di Biella, accompagnati dal professor Lucio Massa.
Abbiamo infatti deciso di partecipare al progetto “Un giorno al Cottolengo” che l’ITIS ha proposto ad alcune classi del triennio.
Siamo giunti alla struttura alle 9:00 di mattino, e subito si è rivelata una realtà completamente diversa da come molti di noi se l’erano immaginata, è infatti un luogo curatissimo e di impatto visivo notevole, tanto da suscitare qualche “ohhh” di stupore.
Siamo stati accolti da una suora molto spiritosa e disponibile presentatasi con il nome di suor Marta. La religiosa ci ha accompagnati in un colorato salone all’interno dove, prima di dare inizio alle attività programmate appositamente per noi, abbiamo assistito ad una presentazione generale da parte di don Elio, direttore della Piccola casa della Divina Provvidenza (questo è il nome vero dell’istituzione) di Biella e del dottor Caser. La spiegazione venne iniziata dal don, il quale si occupò principalmente di spiegarci la motivazione della nostra presenza quel giorno, e la storia del “Cottolengo” facendo particolare riferimento alle persone che vi avevano lasciato il “segno”. Inizialmente ci ha fatto riflettere molto sulla competitività e sulla tendenza a scartare il diverso tipica della nostra società, invitandoci a cambiare la nostra prospettiva in quella di una persona che purtroppo non è in grado di “gareggiare”. Abbiamo così iniziato a capire che è possibile un nuovo modello di vita basato su valori molto più importanti come la solidarietà e la gioia di vivere, non sul costante desiderio di prevalere su chi è più debole o meno capace di noi.
Uno dei modi per realizzare questo progetto è quello di uscire dalla propria realtà, di provare a vedere le cose da un punto di vista che non è il proprio, di iniziare a pensare un po’ meno a noi stessi e un po’ di più agli altri, ad esempio a persone come quelle ospitate dal Cottolengo, preziose per formare il nostro cuore, la nostra mente e la nostra sensibilità e per maturare la consapevolezza di poter fare molto di più di quello che noi riteniamo possibile.
Significativo l’esempio fattoci dal religioso su Pier Giorgio Frassati, ragazzo di 25 anni, volontario del Cottolengo poi beatificato, che in una lettera scritta da lui invitava la gente a scontrarsi con la dura realtà, e si diceva convinto dell’importanza per tutti di una visita al Cottolengo.
Il discorso fu poi proseguito dal dottore che, ci illustrò la differenza tra disabilità e handicap, una cosa a molti di noi sconosciuta. La prima infatti è la perdita della capacità di svolgere le azioni abituali, la seconda è una situazione di svantaggio conseguente a una menomazione o una disabilità che non permette di lavorare. Ciò che ci deve far molto riflettere sono i meccanismi di paura e rifiuto che si instaurano verso persone disabili o handicappate, che ci portano a volerle nascondere, o come già successo, a eliminarle per paura di divenire come loro.
Per questo nel 1928 anche nella nostra città nasce il Cottolengo, una struttura circondata da mura per difendere, educare e far crescere persone che per molti non avrebbero il diritto di vivere.
Finita questa introduzione teorica, nella tarda mattinata siamo venuti a contatto con le persone ospitate dalla residenza. Inizialmente tutti noi, nessuno escluso, dopo aver portato gli ospiti nella sala dove a breve avrebbero avuto inizio le attività, eravamo imbarazzati o comunque insicuri su cosa fare o dire; non per paura di loro ma per insicurezza verso le nostre capacità. Ma dopo questo piccolo momento di incertezza grazie all’affabilità di alcuni ospiti subito le cose sono diventate naturali, quasi istintive e ci siamo tutti rilassati. A ognuno di noi era “affidato” un disabile dei cui spostamenti si doveva occupare nel caso fosse su carrozzina, o di cui doveva fare da accompagnatore. Il primo gioco era bandierina e grazie al divertimento e alla felicità dei nostri invalidi nel giro di qualche minuto ogni ansia residua era svanita ed era rimasta solo la gioia di fare qualcosa di così semplice in grado di dare però così tanto. Dopo per così dire aver “rotto il ghiaccio” è stato il nostro turno di diventare “disabili”: siamo infatti stati bendati e posti su sedie messe frontalmente una davanti all’altra a coppie. Una persona doveva imboccare l’altra, ovviamente senza vedere niente, mentre l’ altra doveva fare affidamento completamente sulle azioni del proprio compagno. Al gioco hanno partecipato anche alcuni disabili, senza però essere bendati, ovviamente erano i più talentuosi, e sicuramente i più competitivi e ciò ha contribuito ad instaurare un rapporto di uguaglianza e di comprensione da parte di tutti.
Siamo poi passati ad una attività molto più creativa: dipingere!
Divisi infatti in gruppi abbiamo creato delle opere di tutto rispetto ed è stato subito evidente come un po’ di colore e un foglio possano dare vita a un’attività tanto divertente. I nostri capolavori sono stati poi valutati da una giuria di cui facevano parte anche alcuni ospiti, forse un po’ troppo di parte per quanto riguarda i propri lavori.
Finita anche questa attività abbiamo dovuto portare i nostri disabili nelle loro stanze perché potessero pranzare.
Quanto a noi ci siamo divisi in gruppi e accompagnati dal dottore abbiamo fatto un giro della struttura e delle varie zone adibite ai pasti, alla ginnastica o alle interazioni tra gli ospiti. E’ stato sottolineato più volte dal dottore che i macchinari per il trasporto, la cura e la pulizia degli ospiti sono ergonomicamente adattati in base alla loro funzione e che, sebbene possano sembrare quasi dolorosi, sono invece sicuri e comodissimi, sono infatti stati testati in prima persona da alcuni dei nostri compagni, che non hanno avuto alcun problema.
Siamo poi andati anche noi a mangiare.
Nel pomeriggio di particolare rilevanza è stato lo scambio di opinioni tra noi compagni di classe che ha evidenziato quanto profondamente questa esperienza ci sia servita a distruggere alcuni preconcetti e di come ci abbia permesso di ampliare la nostra visione del mondo. Elementi che ci hanno colpito maggiormente sono stati la gioia e la felicità che non hanno abbandonato i nostri disabili, di come anche le cose più semplici potessero renderli felici, di come appunto, nonostante i mille motivi per essere tristi avessero sempre una buona parola per tutti, tanto da farci sentire in colpa per i nostri dispiaceri quotidiani, in confronto insignificanti. Il loro bisogno di conoscerti, parlare ma anche di ascoltare era così grande e così vero che a molti di noi è scappata la promessa di ritornare, e da quanto ho capito abbiamo tutti intenzione di mantenerla. In conclusione, grazie a queste persone che hanno reso così speciale una normale giornata di scuola.
03/04/2015 Elisa Bozzotto
Classe 3C LSSAM