In Cloud Atlas (atlante delle nuvole) 6 storie, ambientate in epoche e luoghi diversi, si svolgono in parallelo come se fossero un’unica storia. Ecco le trame: a metà del XIX secolo un avvocato inglese si scopre anti-razzista e aiuta uno schiavo nero; negli anni ‘30 un giovane bisessuale compone un’opera meravigliosa (l’atlante delle nuvole) che non diventerà mai famosa; negli anni ‘70 una giornalista indaga sulle lobby dell’energia; ai giorni nostri un anziano editore viene incastrato e “imprigionato” in una casa di riposo dalla quale cercherà di evadere; nel 2144 un artificio (clone) si unisce ai ribelli per combattere l’immoralità della sua civiltà; nel 2321, in una Terra ridotta praticamente all’età della pietra (nel film non si viene a sapere il perché di ciò), un uomo entra in contatto con uno dei pochi membri di un popolo che è riuscito a conservare le proprie conoscenze e a non soccombere all’apocalisse.
Creare un film che leghi queste storie completamente diverse tra loro è sicuramente un progetto ambizioso. Eppure i fratelli Wachowski, insieme all’amico e collega Tom Tykwer, sono riusciti in quest’impresa seppur con qualche imperfezione nelle singole storie durante le quali il film, a volte, impone una brusca accellerata e ciò non permette l’approfondimento delle varie sottotrame. La cosa che rende questo film unico è la scelta di utilizzare un piccolo gruppo di bravi interpreti per tutti i personaggi. Ciò implica che attori come Tom Hanks, Halle Berry, Hugo Weaving, Jim Sturgess e Hugh Grant interpretino personaggi “diversi” in tutte le storie del film. Anche il montaggio è un punto di forza: viene utilizzato in maniera assolutamente irregolare saltando di storia in storia a volte per pochi secondi, altre volte per diversi minuti. Ciò permette di vedere come le azioni dei protagonisti si ripetano in ogni loro vita attraverso un particolare montaggio dei momenti di fuga o di tensione.
In molti momenti del film è facile intuire che i registi sono i fratelli Wachowski (creatori di altri geniali film tipo l’emozionante “V per vendetta” o l’amata trilogia di “Matrix”). Si veda ad esempio l’impressionante “mattatoio” in cui i corpi degli artifici vengono lavorati (proprio come fossero animali da macello) per farne cibo da dare ad altri artifici; ma anche la ricerca di risposte alle domande filosofiche che l’uomo si è sempre posto è una loro caratteristica impronta. Rispetto ad altri loro film c’è però anche una differenza fondamentale che è l’atmosfera: in “V per vendetta” si vedeva il protagonista uccidere spietatamente i poliziotti dello stato o in “Matrix” si vedeva Neo uccidere gli agenti delle macchine. Invece in Cloud Atlas si respira un’aria molto più tranquilla in cui l’arma della ribellione è la verità e il racconto; non l’omicidio.
Fra i messaggi che il film vuole trasmettere vi è il tema della reincarnazione, del transfert spirituale, dell’immortalità dell’anima e di come “da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro” (tanto per citare il trailer del film). Infatti in realtà gli attori non interpretano un personaggio bensì un’anima che viaggia nei secoli subendo un’evoluzione che non può controllare : così i protagonisti sono in alcune storie buone in altre cattive (tranne Hugo Weaving che interpreta in tutte le storie il cattivo, e in una addirittura una cattiva, ma i Wachowski così hanno voluto in ogni loro film per questo interprete). Durante il film si scopre che un personaggio per ogni storia ha una voglia a forma di stella cadente sul corpo; sarà proprio quel personaggio che cercherà di cambiare il mondo in cui vive durante il corso della storia, a volte anche diventando un martire (come nel caso di Sonmy-451), credendo nella morte non come una condanna, ma come la fine di un ciclo: chiusa una porta se ne apre un’altra.
Consiglio a chiunque di guardarlo perché è uno di quei pochi film che smuove la parte spirituale di ognuno di noi obbligandoci a porci delle domande esistenziali e, magari, anche a farci ricredere su certi aspetti della vita dopo la morte. Mio personale voto: 4 stelline e mezzo (a scuola sarebbe un 9!).
– Patergnani Pietro