Alla scoperta del Monte Fenera

Martedì 23 ottobre,  noi studenti delle classi quinte C e D del Liceo delle Scienze applicate, accompagnati dai professori Ariemma, Massa, Rondi e Vaglio, abbiamo partecipato a un’escursione sul Monte Fenera, in Valsesia.

L’iniziativa, organizzata in collaborazione con l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea di Varallo, era finalizzata a scoprire qualcosa in più sulla storia di un territorio a noi molto vicino, a partire dalla formazione di quei monti per arrivare alle guerre mondiali e alla nostra contemporaneità.

Arrivati all’imbocco del sentiero, situato al confine tra le province di Novara e Vercelli nei pressi di Borgosesia, abbiamo conosciuto le nostre guide: Mauro Bettini, un guardaparco del Parco Naturale Monte Fenera, e il professor Alessandro Orsi, ex preside dell’Alberghiero di Varallo che si occupa ora di accompagnare gli studenti alla scoperta dei “sentieri della libertà”, che percorrono, cioè, territori in cui si sono svolti episodi legati alla lotta di liberazione dal nazifascismo. Ci hanno accompagnato anche il signor Claudio Cucciola, collaboratore dell’Istituto per la Resistenza, Roberta e Valeria, impegnate nel servizio civile presso il parco.

Ci siamo quindi incamminati e, dopo una decina di minuti, siamo giunti al Centro informativo del parco. Qui ci sono stati illustrati brevemente il percorso e la morfologia del luogo. Infatti, il parco è per il 90% ricoperto da foreste di noccioli, querce e qualche carpino, ma con una prevalenza di castagno. Il castagno è stato un albero fondamentale per gli abitanti di quei luoghi: fin dall’antichità il suo legno era usato per costruzioni e utensili grazie alla sua resistenza. Inoltre, fino alla prima metà del secolo scorso, la dieta delle popolazioni di quei luoghi, come un po’ in tutto il nord Italia, era basata sulla castagne. Proseguendo il nostro cammino ci siamo imbattuti in un piccolo altare dedicato a Ermanno Sartori, un giovane partigiano appartenente alla brigata Osella, una delle brigate Garibaldi che, durante il secondo conflitto mondiale,  erano note per il loro coraggio e per le numerose azioni antifasciste e antinaziste. Questi monti hanno ospitato le brigate per anni, fornendo cibo, protezione e riparo grazie alle numerose grotte carsiche presenti.

Poi abbiamo fatto un balzo nel lontano passato, quando quelle montagne non erano altro che fondali marini costituiti dalla parte inorganica di piccoli organismi, come coralli e molluschi, chiamata comunemente “calcare”. In seguito a movimenti tettonici avvenuti circa 30 milioni di anni fa, quei fondali sono stati sollevati e li troviamo ora a 900m sul livello del mare. Abbiamo scoperto, poi,  che esiste un’altra roccia simile al calcare che però contiene magnesio al suo interno e viene chiamata Dolomia in onore della catena montuosa delle Dolomiti in Trentino, le quali sono composte prevalentemente da questo minerale.

Abbiamo quindi intrapreso un sentiero più stretto e ripido che si inerpica sui dirupi del monte fino a giungere alle grotte (Belvedere e Ciota Ciara) che , come già detto, hanno fornito riparo ai partigiani, ma non solo a loro. Tornando a circa 10000 anni prima della nascita di Cristo, esse rappresentavano l’abitazione dell’uomo di Neanderthal. Gli archeologi hanno ritrovato in questi antri rocciosi ossa di animali, qualche resto di sepolture umane e altri indizi che confermano la presenza dei neandertaliani. Dopo aver esplorato la sezione iniziale delle grotte, muniti soltanto della torcia del telefonino, siamo ripartiti per l’ultimo tratto di salita fino alla cima.

Qui, a 899 m sul livello del mare, abbiamo consumato un pranzo rinvigorente allietato da  un panorama mozzafiato sulla valle del Sesia. Dopo un momento di riposo al sole, abbiamo rimesso gli zaini in spalla e abbiamo iniziato la discesa per un’altra via. Procedendo in mezzo alla vegetazione, ci siamo imbattuti in una chiesa in rovina quasi completamente inghiottita da alberi e arbusti. Si tratta della chiesa di San Quirico: secondo una leggenda, in questo luogo i bambini morti alla nascita riprendevano vita per un istante che permetteva al sacerdote di battezzare il neonato. Continuando verso valle siamo arrivati a una spianata vicino a una parete rocciosa che abbiamo scoperto essere una vecchia cava di calcare (Cava di Cote) dove, durante la Grande guerra, vennero mandati a lavorare i prigionieri austriaci. Anche queste cave fornirono, successivamente,  riparo ai partigiani e questa in particolare era una sorta di ospedale, raggiunto dalle truppe fasciste che vi fecero una strage.

Ripresa la discesa, siamo giunti nuovamente al centro informativo del parco e poi al pullman, dove abbiamo salutato le nostre guide prima di dirigerci a Biella.

In conclusione, è stata giornata una bella e interessante, grazie alla quale abbiamo imparato molti particolari sul nostro territorio dei quali purtroppo non si parla molto in classe.

Riccardo Bertuzzi, V C LSSAM