SOGNO DI DIVENTARE ATTRICE

Continuano le nostre intervista ai registi e ideatori dei corti “Contiamo su di Noi“. Dopo Maurizio Pellegrini, questa volta il nostro Giovanni Inglese dialoga con Manuela Tamietti, in un interessante scambio ricco di idee, propositi, nostalgie e …


Correva il 1986 quando Manuela Tamietti inizia a svolgere le sue attività nel mondo della recitazione: da quell’anno collaborerà con decine di compagnie teatrali in giro per l’Italia e viaggerà per l’Europa, fino ad arrivare in Brasile. 

Non solo teatro, ma Manuela sarà anche regista, doppiatricemarionettista e direttrice artistica. 
Come ogni lavoro, ogni passione e ogni sogno, si inizia da ciò che si ha, anche dall’oratorio di paese, dalla scuola, da una telefonata ad una cabina o da un annuncio sul giornale.
Proprio un annuncio su “La Stampa” sarà la svolta per Manuela: “Cercasi marionettisti per il Teatro dei Sensibili”. Trovatasi vincitrice del provino insieme ad altri tre marionettisti, sarà da qui che inizierà la sua vera e propria carriera.

Senza altre anticipazioni, Manuela ci racconterà cosa vuol dire vivere sul palco, anche con piccole difficoltà, ma sempre pronta per entrare in scena.


Qual è stato il tuo primo contatto con il mondo del teatro?

“Ho sempre amato il teatro e lo consideravo un sogno. 

Da ragazzina quando potevo recitavo, mi piaceva farlo a scuola e all’oratorio, era divertente. Ho persino cercato di entrare in una compagnia locale, senza successo. Ricordo ancora una telefonata surreale da una cabina a gettoni ad un capocomico che mi promise che mi avrebbe richiamata, ma non l’ha mai fatto. A Biella non c’era alcuna possibilità, all’epoca. Io poi abitavo a Sagliano Micca, nemmeno in città… Però mi piacevano le marionette, le costruivo e le vendevo a Miagliano, durante le superiori. Poi a Torino, negli anni ’80, tra un esame universitario e l’altro ho fatto un corso di improvvisazione nel quartiere in cui vivevo, tutto gratuito. 

Poco dopo mi sono trovata a dover cercare un lavoro, per motivi economici e a lasciare purtroppo l’università: è in quegli anni che ho iniziato con i progetti di animazione per ragazzi in estate e poi con progetti per adolescenti a rischio.
Tutto cambiò sfogliando le pagine de “La Stampa”, quando ho deciso di rispondere ad un annuncio: “Guido Ceronetti, giornalista, filosofo, scrittore, poeta nonché teatrante, cerca marionettisti per il suo Teatro dei Sensibili”. Ho vinto il provino durato quattro giorni. Sono state scelte quattro persone su quaranta candidati e dall’oggi al domani mi sono trovata con un contratto con il Teatro Stabile di Torino! Un’esperienza incredibile e faticosissima, ma in tutto questo non avevo neanche una preparazione professionale. 

Così, 36 anni fa, ho iniziato a studiare e a capire quanto fosse difficile fare questo mestiere.”


L’arte, il teatro e il talento formano una compagnia. Tu e la tua compagnia siete sempre rimasti fissi in Italia o siete anche riusciti a viaggiare? Che ricordi hai di quell’esperienza?


“L’arte e il talento formano l’attore, ma a ciò va aggiunto lo studio, la volontà e la forza d’animo. Devi capire cosa puoi fare, che attore sei. Ciò lo si fa con provini, aggiornamenti continui, corsi, stage, confronti con il mercato del lavoro. Sono stata assunta da diverse compagnie, e con alcune di esse ho fatto spettacoli solo a Torino, con altre ho girato l’Italia, con altre l’Europa, con una sono stata anche in Brasile. Conservo bei ricordi dei viaggi fatti e delle città visitate. Con una compagnia torinese in particolare ho fatto 200 repliche, con un altro spettacolo 150, in giro per l’Italia ma soprattutto in Francia, per cui ad un certo punto… confondo tutto.

Mi capita di vedere foto e di dire: “Sono stata in quella città? Non me la ricordo!”. A mia discolpa c’è da dire che magari si stava via due o tre mesi, spostandosi di continuo toccando magari 15-20 città, da ciò i ricordi indeboliti, anche se in ogni luogo mi davo la regola di visitare sempre il centro storico, le cattedrali, i punti fondamentali e stavo a lungo nei teatri.

I teatri più belli sono indubbiamente quelli francesi. Meravigliosi! Moderni, attrezzati, curati, ricchi di spettacoli, di corsi, di cultura, di personale, di gente. Camerini con ogni confort, tisane, biscotti, fiori, in tanti camerini c’era persino il letto per riposare, cosa che mi sconvolgeva pensando a certe situazioni in Italia, quando capitavo in luoghi in cui non c’era nemmeno il camerino! All’estero venivi trattato da artista, rispettato, servito e riverito.”

La tua esperienza e il mondo del teatro ti hanno dato molte opportunità: in quali altri campi artistici ti sei dedicata?

“Diciamo che per vivere di teatro devi fare i salti mortali e sconfinare in altri ambiti artistici è stata forse più un’esigenza di sopravvivenza. Con il teatro mi sono espressa come marionettista, come attrice comica indipendente e come attrice di giro.

Ma avevo bisogno di guadagnarmi da vivere anche con altro, da ciò la specializzazione nel doppiaggio e nello speakeraggio che sono legati alla televisione, che paga bene e ciò mi ha permesso di mantenermi e mantenere sempre viva la mia verve recitativa.

Ho sconfinato anche, per brevi periodi, nella radio, nell’insegnamento, nell’organizzazione e nei casting per il cinema. Esperienze che mi sono state utili nel momento in cui sono tornata a Biella.
Credo che ci sia un’epoca per tutto. È stato bellissimo viaggiare un tempo, ma è altrettanto bello creare qui, in questo luogo.”

Ti ho visto operare anche come “direttrice teatrale” in alcune riprese video. Quant’è complesso organizzare noi attori affinché si possa ottenere la parte espressiva migliore di noi?

“Con il progetto legato al cinema utilizzo alcune mie capacità elaborate negli anni: faccio da coach, ovvero cerco di dare un senso alle battute recitate, appoggio l’attore emotivamente, lo aiuto a calarsi nella parte, cerco di metterlo a suo agio.

Conosco bene il lavoro dell’attore e lavorando in RAI, con il cinema romano o anche in altri ambiti, persino in alcuni contesti teatrali, ho visto registi tiranni maltrattare artisti. Ho vissuto climi orribili, soprattutto con il cinema, subito pressioni e stress tali che mi hanno addirittura fatto allontanare da questo lavoro che tanto amo. Ho visto giovani attori decidere di cambiare mestiere. Lo stress non aiuta la creatività. Da ciò ho capito che è fondamentale creare un buon clima di lavoro e mai perdere la calma.”

Quanto può il teatro aiutare a sfogarsi e liberarsi? La consideri una buona medicina per abbattere barriere come vergogna e timidezza?

“A ciascuno la propria arte. Consiglio di provarle tutte: le medicine dell’arte guariscono da ogni male e ognuno ha la propria ricetta. Pensate che io ho iniziato a fare teatro iscrivendomi ad una scuola, come terapia perché non riuscivo a dare gli esami a causa della paura che gli stessi che mi provocavano. Il teatro mi ha permesso di sciogliere molti nodi. Mi ha permesso di fare ordine nelle mie emozioni, di riconoscerle, di osservarle, di riordinarle per poterle restituire all’occorrenza, sotto forma di espressività, al pubblico che ascolta.

Lo consiglio a chi vuole crescere, capire e scoprire sé stesso. Però… Non si finisce mai. Questa è la notizia più sconvolgente!”


Concordo con Manuela: recitare fa bene!
Aiuta a scaricare tutte le emozioni e permette di liberarti, e il tuo sfogo sul palco è ciò che permette di diventare un vero e proprio personaggio e parte di una compagnia teatrale.


Se l’aforisma dice che “A chi crede nei sogni, basta un gradino per raggiungere le stelle”, a Manuela è bastato un annuncio su un quotidiano per realizzare il suo sogno da bambina di diventare attrice, ma, crescendo, ha capito che la vita di chi ama recitare è fatta anche di una sorta di “lotta alla sopravvivenza”: “attore per sempre” è difficile, ma tra il doppiaggio di un film o di un cartone animato, una trasmissione radiofonica, una collaborazione con altri registi in figura di “direttrice artistica”, questa passione sarà immortale in lei.



Giovanni Inglese, 4°D LSSA